… “Come arrivai alla fotografia? Ero cresciuto in montagna, sci, alpinismo… facevo parte del Bob Club Pieve, ho gareggiato con i primi equipaggi nazionali; durante il servizio militare nell’8° Alpini, dopo la tragedia del Vajont ebbi l’incarico di dare dei corsi di sci ai ragazzi sopravvissuti all’ondata che aveva spazzato via Longarone. Vivere lì con loro e provare impotenza per non avere la possibilità materiale di documentare cosa era perduto e cosa era rimasto, la volontà da parte del potere di far tacere i superstiti e di far cadere nell’oblìo quanto era accaduto, mi fece riflettere.
Forse fu questo primo ragionamento “contro-corrente” che poi mi avrebbe spinto a scegliere questo mestiere così lontano da ciò che si intendeva per “lavoro”, a quell’epoca.
Alcuni anni dopo lavoravo in un’impresa che stava costruendo un tratto autostradale in Abruzzo, il fine settimana andavo a trovare un mio fratello che studiava arte a Roma. Era il 1968 e mi trovai automaticamente immerso in un ambiente molto lontano dalle mie esperienze precedenti. Già nelle strade della città si percepiva un clima di grande tensione: il Vietnam, i fermenti sociali, le manifestazioni studentesche, i collettivi… nell’aria c’erano tutte le premesse un grande rinnovamento culturale.
Non ci pensai due volte: mi licenziai dal “lavoro sicuro” e con i soldi della liquidazione mi comperai una Leica… La professione di Reporter in Italia non era proprio contemplata, al punto che la licenza che mi fu rilasciata mi definiva Fotografo ambulante…